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lunedì 7 gennaio 2013

The Verve - Urban Hymns

Bentornati ragazzi, i Maya ci hanno graziato, chi aveva fatto il mega bunker sotto casa lo può utilizzare per ammufire qualche salume nel frattempo che si presenti un'altra catastrofe annunciata.
Nell'attesa andiamo a recensire un prodotto che ho ricevuto in regalo per le feste natalizie,  è un oggetto che conosco molto bene ma mi mancava il formato CD diciamo così..
Stiamo parlando dell'album Urban Hymns dei The Verve.




Uscito nel 1997 raggiunse ben presto la vetta delle classifiche europee e statunitensi grazie ai suoi singoli di successo ben organizzati dai produttori Chris Potter e Martin Glover, considerato uno dei migliori album del decennio 1990/2000, icona di successo e potenza musicale di questo gruppo inglese formatosi nella piccola cittadina di Wigan, ma vediamoli meglio..
Quattro ragazzi accumunati dalle stesse passioni musicali si divertono a suonare insieme saltando le lezioni dell'Highschool, fino a riscuotere successo tale da portarli davanti al pubblico.
Nei primi anni 90 riescono a sfornare il loro primo EP e successivamente il loro primo album, A Storm in Heaven dall'aspetto puramente indie. Possiamo affermare che non è il miglior album debuttante per una band del genere, per di più condito da ripetuti e disastrosi eventi pre/post live causati da uno altalenante stato psico/fisico dovuto all'abuso di droghe e alcool, fà sì che non si ricordino propriamente per questo disco.
La nascita dell'album successivo, A Northen Soul prende piede sotto i peggior auspici pochi anni dopo, le fasi di registrazione mostrano un evidente squilibrio all'interno della band, dovuto sempre all'abuso di sostanze in tutte le salse in ogni momento della giornata.
Arrivò così poche settimane dopo l'uscita dell'album (1995) il primo scioglimento della band britannica considerata dai media gli anti-Oasis, benchè i fratelli Gallagher e il frontman dei Verve, Richard Ashcroft nutrissero una simpatica amicizia.
Rinfrancati da un discreto successo del disco e da continui ripensamenti riescono a riunirsi per cominciare le registrazioni di Urban Hymns, attraversando una fase puramente trascendentale nella composizione dei testi e delle musiche, il tutto condito dall'incessante utilizzo di droghe.
Approdando ad un territorio decisamente più pop, incline alle necessità commerciali del periodo, dove per l'appunto il brit-pop impazzava le radio, possiamo definirla come la naturale successione nell'evoluzione musicale di questo gruppo per raggiungere il successo mondiale; era facile entrare nelle classifiche del momento con un brano pop,  era altrettanto facile però uscirne se c'era "poca sostanza".
Si confermarono con una fila di successi incredibili scalando le classifiche a suon di singoli, melodie intense, testi pieni e sentiti, il Richard Ashcroft che conoscevamo è cambiato.

Data di uscita : 29 Settembre 1997
Etichetta : Virgin Records
Produttore : Verve, Chris Potter, Martin Glover
Durata : 75 min circa
Voto : 8

Tracklist:
 1. Bitter Sweet Symphony
2. Sonnet
3. The Rolling People
4. The Drugs Don't Work
5. Catching the Butterfly
6. Neon Wilderness
7. Space and Time
8. Weeping WIllow
9. Lucky Man
10. One Day
11. This Time
12. Velvet Morning
13. Come on
14. Deep Freeze (ghost song)



Urban Hymns apre con una canzone tanto amata quanto conosciuta per vari motivi, oltre all'indiscusso successo comerciale avuto a livello mondiale, la si può trovare come colonna sonora del film Cruel Intentions o su uno spot pubblicitario della Nike, ma è famosa pure per la controversia legale nata e vinta dai Rolling Stones per il rifacimento del riff iniziale ad una loro canzone. Bitter Sweet Symphony è così opera dei Verve ma sui diritti compaiono pure Mick Jagger e Keith Richards quei furbacchiotti, che sono così entrati a far parte (economicamente) di uno dei inni generazionali simbolo degli anni 90. Il pubblico e la critica furono totalmente spiazzati dal crescendo di questo singolo, strumenti, suoni e pathos contornano il famosissimo riff d'apertura di questo brano splendido, la gente andava a comperare il nuovo album dei Verve senza sapere cosa stava effettivamente comprando, MTV rimbalzava il video della canzone all'impazzata nel periodo in cui Oasis, Radiohead, Blur e Prodigy avevano la meglio nel settore.
Tralasciando le dispute legali e gli introiti dei diritti i Verve aprono con un brano manifesto (anche se compromesso) ben volentieri il loro disco comunque pieno di tracce favolose, quasi fosse un innesco necessario per abbracciare la critica e i media del periodo, offuscati da Be Here Now degli Oasis e da quel maledetto capolavoro di Ok Computer ( Radiohead).
La voce chiara e pulita di Ashcroft non venne più "strozzata" da feedback e riverberi sparsi, ma venne piuttosto innalzata per renderla chiara e accompagnare la melodia potente.


Le ballate The Drugs Don't Work e Sonnet conferiscono un'aura immortale a testi molto significativi, storie d'amore e droga si lasciano cullare da melodie bellissime e romantiche. Sicuramente di avviso semi psichedelico per qualche nostalgico dei tempi andati (Pink Floyd), ma confermano una crescita musicale esponenziale rispetto ai lavori precedenti dove c'era un'assenza di coerenza tra melodia e significato, tra testo e intento. L'interpretazione è magistrale, il giusto tono e ritmo del cantante fanno viaggiare la nostra mente senza nemmeno accorgersene, le stiamo cantando e non ne sappiamo il motivo, un ascolto perfetto in cuffia, da soli, in viaggio o semplicemente in un momento tutto nostro della giornata.

A completare l'arco spazio/temporale ci sono (manco a farlo apposta) Space and Time, Neon Wilderness e Velvet Morning che chiudono un filo logico molto importante all'interno del disco, dove richiamano le loro origini ma le rielaborano, le migliorano, le ottimizzano per ciò che verrà.
Sopratutto la settima traccia, la mia preferita in assoluto di tutto il disco, arriva silenziosa al ritornello per poi esplodere e cantare, dimostrandosi all'altezza delle hit più affermate dell'album.
Non rinunciano nemmeno alla parte più energica del loro repertorio, pigiando il pedale del rock con The Rolling People e Come on, donando il giusto equilibrio di pensieri tra i componenti della band, dimostrando di poter competere con i fratellini dispettosi di Manchester.
Ma il confronto dura poco, perchè arriviamo ad una traccia che se fosse in una qualsiasi tracklist degli Oasis ora staremmo parlando di "un decennio musicale di dominio della band di Manchester".. E invece, siamo qui, arriviamo al nono brano, Lucky Man.

Personalmente lo considero un brano potentissimo, il migliore della band di Wigan inannzitutto, tra i miei 10 brani preferiti in ASSOLUTO, un successo impressionante portato all'inverosimile dalle infinite cover strimpellate da una qualsiasi persona che imbraccia una chitarra, il tutto nella maniera più semplice possibile.
Perchè Lucky Man è questo, la semplicità fatta canzone, una dote tanto sottovalutata quanto importante nel panorama musicale odierno.
But how many corners do I have to turn? How many times do I have to learn, All the love I have is in my mind? Forse il testo può riassumersi in queste poche parole, un testo caldo e immediato accompagnato da una chitarra stupenda, da cantare, da assaporare in tutte le versioni, sopratutto totalmente acustica.
Questo è Urban Hymns, semplicità nello scoprire mano a mano canzoni stupende pian piano che si avanza, invitando l'ascoltatore ad immergersi nel loro mondo senza stancarlo, anzi rendendoli partecipi.
I temi affrontati in questo album sono i più vari, le premesse e le anticipazioni erano invece sempre le stesse, "un altro album di quei 4 scoppiati"; a Londra invece in poche settimane han trovato il modo di rendere un suono decente in magnifico, un testo curioso in interessante, un'idea valida in concreta, i Verve sono questo, sono Urban Hymns in tutto, dalla copertina ai suoni, dai video alle tracce, non lo sono stati fin qui e non lo saranno mai più.
Quindi un album da avere assolutamente nella nostra collezione, guardando con curiosità sia agli album precedenti sia a quello successivo, sia a quelli da solista del cantante, assolutamente molto validi. Ma teniamo bene a mente che questa loro creazione è la loro punta di diamante, il loro termine di paragone che spero vivamente, ma difficilmente riusciranno a toccare.
Arrivati oramai all'ennesimo scioglimento hanno procurato un vuoto oramai difficilmente colmabile nel panorama musicale che gli si addice, lasciando ai posteri un lavoro maturo e apprezzato da tutte le età.
Ma questa è l'essenza del rock alla fine no? La semplicità disarmante, per restare in tema, nel dare un retrogusto amaro ad una sinfonia dolce..



Giuliao












1 commento:

  1. Scherzi? Il primo EP omonimo e "A Storm In Heaven" sono per me le robe migliori che hanno fatto. Li vidi suonare in Inghilterra all'incirca nel '93 e caddi letteralmente in trance...complice anche la scarsa sobrietà del me stesso 20enne :) Bel blogghe comunque!

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